oggettivazione del segno e del colore
analisi della possibilità di trasformazione (nello spazio) della materia cromatica
incapsulamento di trucioli metalici e sequenze di colori in provetta e contenitori di vetro; smalti su moduli di legno in teoria cromatica
PERIODO CONCETTUALE (1971-1975)
Tecnica pittorica
Oggettivazione del segno e del colore
Analisi della possibilità di trasformazione (nello spazio) della materia cromatica
Incapsulamento di trucioli metalici e sequenze di colori in provetta e contenitori di vetro; smalti su moduli di legno in teoria cromatica
La ricerca in sintesi
Inizia le esperienze sul segno e sul colore puro, quasi a voler verificare la reale possibilità di autonomia espressiva dei medesimi.
Porta alle estreme conseguenze un confronto con il concettualismo arrivando a proporre il segno (rappresentato da trucioli, residui delle lavorazioni di lamiere metalliche) incapsulato in provette di vetro, indaga sulla complementarietà cromatica dei timbri base, analizza le possibilità espressive autonome della campitura (contenitori di materia-colore esibiti con modulazione “scientifica” del grado di intensità timbrica; oggettivazione del colore attraverso stesure su piccoli riquadri uguali, offerti alla fruizione ludica nella varietà delle possibilità intensive del tono).
Realizza un’espansione spaziale del colore producendo la serie delle “teorie cromatiche”.
Antologia critica
…”Questo “alfabeto del colore” è appunto quanto Silvio Rosso oggi ci pone dinnanzi. Ma poichè Rosso è prima di tutto un artista, malgrado il suo puritano rigore quell’alfabeto non rimane nell’inerzia della sua funzione didattica, si anima, si accende di una fantasia controllata dall’intelligenza e dalla volontà costruttiva, ma ben presente e operante; si vena di lirismo.
E basterebbe l’attenzione che Rosso porta a un problema complementare di quello del colore, il problema ottico-tattile della materia, con quelle increspature e quelle rugosità delle superfici che rappresentano, nelle sue cose, la decantazione dell’esperienza dell’informale, per dirci come il suo gioco sia assai più complesso di quanto all’apparenza possa sembrare, e come in esso si ripresentino, in forma nuova, tutti i problemi della pittura, senza perder di forza nè di persuasività.”…. Albino Galvano, 1973
…” Le tarsie di colore di Silvio Rosso, siano esse inserite in una parete o nelle “scacchiere” ove possono venire spostate dai visitatori, non si propongono come opere singole, pannelli decorativi separabili, ma si possono piuttosto considerare parole di un discorso unitario, nel quale trova certo posto il concetto fondamentale di architettura…” Ida Isoardi, 1973
…”Il campo di azione di Silvio Rosso è sempre comunque stato il colore; iniziò con un sottile e arbitrario calligrafismo gestuale in cui si sentiva l’influenza dell’estetismo di Filippo Scroppo sul quale però il Rosso innestava preziosi elementi segnici alla Mathieu.
Poi vi furono i reperti e le prime rigorose ricerche sul rapporto-concetto internamente ad una superficie cromatica; si trattava cioŠ di compiere una utopica operazione, concettualizzare e portare sul piano di un linguaggio “comunicativo” la forte carica vitalistica del gesto, dell’immersione, dell’identificazione (e, chi lo sa, forse di un mistico dissolvimento) nel colore, senza assolutamente sminuirla.” Riccardo Cavallo, 1973
…”Oggi l’analisi del Rosso si esplica in un settore allargato della conoscenza delle dimensioni spaziali; sempre per il tramite della “significata” occupazione visuale, non certo in rapporto diretto con quella spaziale, rigorosamente tarata invece su telai di eguale formato, ne deriva che l’utilizzo di una tonalità anzichè un’altra porta a diversità sostanziali nella confinabilità delle aree spaziali, secondo una valutazione soggettiva costante, costituente un metro diverso nella campionatura dimensionante.
Lavoro che, nel riservare alla sfera psicologica delle influenze-colore una parte rilevante, ne elimina le implicanze surreali per esaminare scientificamente le incidenze in un’applicazione puramente pittorica, in un certo gusto matematico del “fare” pittura.”… Giorgio Brizio, 1974